IL DESIGN
“Quando il designer lavora su una sportiva si diverte di più, dà sfogo alla passione. Ma ha il suo fascino anche la sfida intellettuale di progettare un’auto poco ingombrante, poco costosa, poco inquinante, magari destinata all’uso pubblico”
Giorgietto Giugiaro, 2013

Di seguito segue l’intervista a Giorgietto Giugiaro pubblicata sul numero di Aprile 2020 sulla rivista “La Manovella” in occasione del 40° anniversario della Panda.
In che anno le venne affidato il progetto dalla Fiat per una nuova utilitaria?
“Ricordo che nell’estate del 1976, De Benedetti, l’allora amministratore delegato della Fiat, mi disse che avrei dovuto preparare il progetto di una vettura utilitaria, innovativa e “alla francese”, che utilizzasse il propulsore bicilindrico della Fiat 126. Ovviamente sia per me sia per Mantovani fu un grande onore essere interpellati per un progetto così ambizioso e l’idea ci rese subito entusiasti. Però, essendo la fine di luglio, io avevo già programmato di partire per la Sardegna e dissi a De Benedetti che volentieri a settembre avrei preso matita e carta Canson per dedicarmi al progetto. Ma De Benedetti, molto serenamente, mi disse che il progetto di massima doveva essere pronto per la fine di agosto e che non c’era nessun problema, in quanto anche lui era in vacanza in Sardegna e mi avrebbe aspettato dopo ferragosto per fargli vedere i primi bozzetti. Io rimasi stupito, ma mettendo in valigia il necessario per disegnare, partii per il mare, sapendo che mi aspettavano delle ferie di lavoro. Così, seppur allietato dal clima marino, disegnai e mi confrontai quotidianamente con Mantovani che era invece in montagna, per riuscire a dare il meglio in questo progetto: per il 15 di agosto avevo i disegni pronti da mostrare a De Benedetti. A quel punto lo chiamai, ma mi dissero che non era più in Sardegna e non mi fu più possibile parlargli in alcun modo. Tornato poi a Torino, intorno al 20, lessi sui giornali che aveva lasciato la carica di amministratore delegato. Chiamai Mantovani preoccupato per la sorte del nostro lavoro, con il timore di aver perso tempo, ma di lì a pochi giorni ricevetti una telefonata da Nicola Tuffarelli, che in quel momento era subentrato a De Benedetti, che mi disse che sapeva dell’esistenza di un progetto, di andare avanti e di non preoccuparmi. Così, rincuorati, ci rimettemmo al lavoro”.
Quali furono i concetti da cui partì per realizzare il progetto? E quali soluzioni lei avrebbe introdotto sulla vettura che poi non sarebbero state realizzate in serie?
“Innanzitutto devo dire che la Fiat in questo caso non ci diede dei limiti troppo rigidi e quindi io ebbi la possibilità di sviluppare una vettura partendo da un punto di vista diverso, molto più legato all’architettura che non all’ingegneria, osando maggiormente. L’unico limite iniziale era l’ingombro del propulsore, che era il bicilindrico di 650 cm³ montato sulla Fiat 126. In realtà, per il design esterno non mi misi a studiare chissà quali linee particolari, anzi, come dico sempre io scherzando, ho messo quattro ruote a un frigorifero ed è nata La Panda! Ironia a parte, cercai davvero di rendere le linee della vettura ben raccordate e, soprattutto, proporzionate, donandogli un tocco di personalità, nonostante i limiti imposti dall’economia di produzione. In particolare studiai la soluzione dei vetri piatti, che erano economici da produrre, e non richiedevano lavorazioni particolari. Anche se può sembrare semplice, non è affatto uno scherzo disegnare una vettura senza usare vetri curvati! Quando però sottoposi a Mantovani la mia idea dei vetri, mi disse che, seppur poteva sembrare strano, la tecnologia per produrli nel settore automobilistico non era predisposta per questo e non sarebbe stato così semplice come credevamo. In ogni caso andai avanti per la mia strada giungendo a una forma esterna gradevole e particolare, che avrebbe reso la carrozzeria robusta e facile da riparare in caso di piccoli urti. I paraurti fascianti proseguivano, secondo la mia idea anche sulle fiancate con lo stesso materiale, per un duplice motivo: risparmiare peso e poter essere riparate facilmente. Non riuscii mai a comprendere a fondo perché la Fiat decise di fare la parte bassa della fiancata tutta in lamiera verniciata successivamente nella produzione in serie. Inoltre, durante lo sviluppo del progetto, ci dissero che bisognava considerare di inserire anche il motore a 4 cilindri di 903 cm³, così dovemmo studiare due tipi di calandre diverse a seconda del propulsore e inserire molte altre variabili che complicarono non di poco il lavoro. Per ciò che riguarda l’interno, invece, usai più un approccio da architetto, ispirandomi alle sedie come la “chaise-longue” che ha una struttura tubolare, per disegnare i sedili e usando questa configurazione “a tubi” per l’intero abitacolo. Nella mia idea il sedile anteriore doveva essere più spartano di come poi è stato per la produzione in serie, mentre hanno mantenuto la mia idea della “culla” per il sedile posteriore e per il grande vano portaoggetti anteriore. Per risparmiare peso anche il vetro discendente era stato inizialmente concepito da me con una semplice rotella che scorreva in una guida su e giù, ma poi si preferì optare per la classica manovella alzavetro. Nel complesso comunque, seppur “ingentilita” e resa più vettura per la produzione, acquisirono gran parte delle mie idee”.
Quando oggi riguarda la Panda, dopo tanti anni di esperienza, specialmente nella sua prima serie trova qualche errore o la considera ancora un oggetto ben riuscito sotto tutti i punti di vista?
“Credo che la Panda, nonostante fosse una vettura estremamente semplice e sicuramente meno blasonata di tante altre che ho disegnato dopo, sia ancora oggi un buon esempio di utilitaria, con un unico difetto: è stata una vettura pensata con un approccio forse troppo da architetti che non da puristi del design. Inizialmente, infatti, nonostante molte soluzioni fossero all’avanguardia, soprattutto per gli interni, non venne compresa a fondo, risultando troppo essenziale e spartana, soprattutto in Italia. In fondo l’automobile per noi italiani è sempre stata uno status-symbol e in molti faticavano a vedersi alla guida di una vettura così monastica. Ma poi in poco tempo si riuscì a comprenderne il potenziale e, specialmente poi nella sua versione4X4, riuscì a diventare una vera e propria icona”.
Personalmente, penso che la Panda diventerà la 500 dei tempi moderni: molti infatti ne stanno comprendendo la valenza e l’importanza storica, iniziando a collezionarla. Secondo lei, un giorno anche la Panda verrà esposta al MoMa?
“Difficile da dire, ma nulla è impossibile. In fondo la Panda, soprattutto nella sua prima serie, è una vettura che ha un forte legame con l’architettura e non sfigurerebbe certo a fianco di molti altri oggetti che hanno fatto la storia del design”.